Nella vita sono sempre stata una frana nell’esprimere le emozioni, soprattutto la tristezza. Ho spesso incamerato il dolore assorbendolo come una spugna. Piccola e ingenua ho capito sulla mia pelle che somatizzando questo stato d’animo stavo male.
La soluzione più valida al mio problema, oltre parlare con qualcuno, era scrivere. Con la penna e il foglio creavo proprio una sintonia, una confidenza, parlavo con loro e scrivevo e così sfogavo il mio dispiacere (qualche volta anche il mio romanticismo).
Fatto sta che scrivere mi faceva stare bene.
Crescendo le aspettative sulla mia dote espressiva è diventata ingestibile. Volevo scrivere un libro a tutti i costi. Qualcosa è nato, ma lo custodisco nel cassetto dei miei sogni. Dieci anni fa ero una persona che adesso non riconosco e di conseguenza non riconosco il contenuto del mio progetto. Scusate, sono uscita fuori tema! Insomma credevo di poter diventare una scrittrice fantastica, di pubblicare manoscritti su manoscritti e invece non ho fatto proprio nulla.
Vedete quando sei circondato da persone che credono in te ma non troppo, non con intensità, e sei una ragazza sensibile con le palle troppo piccole, prima o poi ti spegni. Non ho coltivato la mia passione, non ci ho creduto, l’ho totalmente abbandonata.
Per qualche anno sono stata comunque bene perché avevo scelto io di gettare nel cesso carta e penna. Da un po’ ho ripreso a buttare giù pensieri perché non stavo bene, il lavoro mi ha devastata, anzi l’ambiente di lavoro, non la mansione in sé per sé che svolgo.
Il mio, adesso nostro, diario nasce perché ho il bisogno di scrivere cosa succede, come mi trattano e come mi fanno sentire. Vorrei creare una piccola comunità che in forma anonima possa mandare a fanculo quei datori di lavoro che l’umanità non sanno dove sia di casa.
Che pagandoti, il giusto, quello che ti spetta di diritto, hanno la convinzione che tu sia una loro piccola proprietà da gestire come meglio credono, anzi, da comandare a bacchetta pretendendo cose assurde che non fanno minimamente parte del ruolo lavorativo per cui sei stata assunta.
Oggi mi hanno chiesto – Ma perché la Zeta?
Perché per me è un simbolo, quello di chi non si sente mai arrivato, sempre a chiudere le code, a fare le riserve in panchina.
Speravo di continuare ad essere ultima solo nelle liste in ordine alfabetico e non nella vita a causa di terze persone.
Sono stanca di dover combattere tutti i giorni per sopravvivere ai barracuda.
Le mie colleghe consigliano di raccontare una storia “diversa” dalla realtà, hanno paura di quello che potrebbe succedere se i miei datori di lavoro scoprissero questa pagina.
IO subisco mobbing (difficile da dimostrare).
Inoltre mi consigliano di non metterci, letteralmente, la faccia, almeno per il momento. Vi lascio immaginare con che tipo di persone abbiamo a che fare.
I personaggi e i contenuti che verranno raccontati nella pagina sono frutto della mia fervida immaginazione.
