Cavalli
Il portone del palazzo è aperto, saluto con la mano il portiere.
Salgo le scale a due a due, tra tre minuti inizia il turno.
S. apre la porta, mi saluta, come sempre senza bacini sulle guance.
Mi tranquillizza subito dicendomi che il secondo socio non è ancora arrivato.
Il problema è che non si sa di preciso a che ora si presenterà. A detta di S. preferisce fare delle imboscate, cogliere di sorpresa il nemico, mimetizzarsi con l’ambiente e attaccare di soppiatto. Entrambi i soci non apprezzano chi fuma, io ho smesso tre anni fa.
Devo ancora indagare per quanto riguarda i tatuaggi, ma visti i soggetti e l’ambiente non credo faccia piacere che un membro della banda li abbia, quindi li coprirò sempre.
Io sono calma, non ho la minima intenzione di lasciarmi prendere in contropiede.
Per prepararmi continuo a fare un’intervista interiore nella speranza che io possa arrivare all’interrogatorio pronta ed innocente.
Faccio il solito giro dell’azienda: apro le finestre, controllo le acque, la pulizia dei locali e dei bagni, in modo particolare mi soffermo sullo stato della stanza del secondo socio.
Non ci ero mai entrata osservando così precisamente gli oggetti esposti alla polvere sulle mensole nere dalla forma ondulata.
Ci sono una quantità spropositata di cavalli di tutte le consistenze e dalle svariate pose. Da pupazzi cicciotti a porcellane probabilmente di una certa importanza, con la criniera spettinata o le treccine chiuse da vistosi fiocchi rosa. Cavalli di tutti i colori e dalle grandezze diverse, alti come un dito oppure un braccio intero. Una discreta e inusuale collezione che fa apparire la nostra Rasputin più umana.
C’è un divano a due posti blu elettrico acquistato palesemente da Maison du Monde. La scrivania è di legno massiccio, con dei ghirigori intagliati. La sua sedia somiglia ad un trono più che ad una comoda seduta sul quale poggiare il fondoschiena per ore ed ore.
Insomma questa stanza è strana, troppi oggetti che cozzano vertiginosamente. Tra le altre cose ha tante penne blu e da che mondo è mondo si sa che i documenti si compilano e firmano con quelle nere.
Lascio la stanza aperta e torno nella mia.
Ordino la postazione, non ci sono mail importanti, qualche bolletta da pagare.
Bussano.
Il cuore mi sale inaspettatamente in gola, eccola l’ansia che prende il sopravvento sulla mia spavalderia.
Tranquilla. Controllati le maniche della camicia, aggiustati i capelli e vai ad aprire.
Mi dirigo alla porta. Il campanello chiede pietà.
-Quanto ci vuole per venire ad aprire? – esordisce Rasputin seguita da Giorgio che alza gli occhi al cielo ed entrando mi sussurra che è di buon umore.
Fantastico.
Indossa un tailleur giacca e gonna, che mi da l’impressione di essere una carta da parati barocca, e delle Gucci nere. Ha i capelli spazzolati all’indietro.
-Allora? Chi c’è qui oltre lei? – ovviamente non parla con me (lei sono io) ma con il suo galoppino che mi dà l’impressione di essere esattamente come il pipistrello anemico dello stregone che vendette l’anima al diavolo.
-Qui c’è la sua collaboratrice S., mentre C. sarà qui tra circa un’ora- le risponde Giorgio.
-Il Grigio oggi non viene? – chiede dandomi le spalle. Non avevo capito che voleva sentire la mia voce. Naso importante spalanca gli occhi e muove impercettibilmente la testa per farmi intendere che devo rispondere.
-No, oggi il dottore non verrà in sede- le dico cercando di essere professionale e distaccata tanto quanto lei.
-Meglio così anche se dobbiamo continuare a condividere questo posto e le assunzioni, meglio che non ci sia, ormai è diventato vecchio. Gli servirebbe una badante! – quasi grida Rasputin camminando per i corridoi, dirigendosi verso la sua stanza.
Certo che ha una considerazione del suo socio veramente pessima.
-Andiamo prima che inizi a chiamarti con decine di nomi diversi- seguo Giorgio e il suo consiglio.
S. nel frattempo si è staccata dal computer ed è andata educatamente a salutare il suo capo.
In effetti sarebbe anche il mio capo?
Parlano di cose che non conosco minimamente, Rasputin sorride persino, si rivolge a lei in modo completamente diverso rispetto a me. Un po’ mi spiace, non mi conosce neanche, ha un pregiudizio nei miei confronti, forse perché vengo da Napoli?
Magari perché non metto le gonne, i vestiti, i colori pastello o altrimenti sarà perché non ho capi firmati, borsette griffate, bracciali e orecchini del gallo?
Sono qui come ulteriore soprammobile da collezione, non mi viene rivolta parola, solo occhiatacce da testa a piedi.
Mi soffermo ad osservare i cavalli presenti in quella stanza, si è appiccicata addosso la sensazione di essere considerata esattamente come una di loro. Non utile all’azienda. Lo sguardo di Rasputin parla chiaro, mi darà filo da torcere prima di assumermi. A me il lavoro serve e farò quanto necessario per ottenerlo.
Ricordo che quando uscì il cartone di “Spirit – cavallo selvaggio” sarei tanto voluta essere lui. Selvaggio e libero. Libero e selvaggio.
