L’attesa
Al telefono con mia madre per almeno 18 minuti, è giovedì mattina.
-Si mamma, sto tranquilla! Io ho fatto e detto tutto quello che potevo…ma si te lo ripeto, in un angolo scomodo mi hanno messo. Lei è strana, non saprei che altro dirti. Ho capito che mi hanno messo alla prova, ma cosa avranno mai potuto capire? Che sono paziente ed educata?
Ma si, sto tranquilla, se non dovesse andar bene proverò altrove. Dai ti saluto, ci sentiamo più tardi. Un bacio, ciao mamma.
Basta, mi serve un momento per stare in silenzio.
Ormai sono due giorni che racconto la stessa cosa, prima ai miei genitori, poi ai nonni, poi a mio fratello che sta fuori. A R. e suoceri, lo dico mattina, pomeriggio e sera.
Basta.
Mi dicono tutti la stessa cosa. “Speriamo sia andata bene, il posto è buono, sarebbe un vero peccato lasciarselo scappare.” Come se dipendesse da me.
Lo dico anche qui, ho risposto a quelle poche domande che mi hanno rivolto e mi pare di essermi mostrata disponibile e gentile, una persona a modo, sorridente.
Il colloquio sarà durato quindici o venti minuti in cui per la maggior parte del tempo ha regnato il silenzio oppure discorsi non inerenti al motivo della mia presenza in quella stanza bianca e fredda seduta su un poggia piedi, spacciato per sgabello d’alta moda, in pelle puzzolente.
Ero così carina e solare. Perché non dovrebbero scegliermi? A me serve solo una possibilità per dimostrare che sono ingamba, che non avrò la laurea ma non sono una sciocca.
Uffa. Io capisco che si doveva confrontare con il socio, ma quanto ci vuole?
Ok Zeta, adesso basta davvero, non ci pensare, stai serena.
In casa non c’è nessuno. R. è all’università e i miei suoceri al lavoro. C’è solo Whisky il cane di famiglia, anziano, incontinente e mezzo ceco. Porta un pannolino per fortuna, altrimenti il piccoletto avrebbe pisciato una quantità di volte indefinita nelle mie scarpe o sulla mia valigia oppure sul mio zaino. Tra di noi c’è rispetto e poche smancerie. Lui non sopporta quando gli si vogliono fare per forza i grattini ed è un tipo bello suscettibile, dal morso facile.
Io non sono fisicamente espansiva, deve nascere da me, altrimenti mi sento obbligata e perdo la pazienza. Sono una tipa facilmente irritabile, dallo sbuffo facile.
Non potevo essere sempre e solo solare e caciarona (come si dice a Roma).
Prendo dal frigo un succo nel brick, pianto la cannuccia ed esco in balcone. Si sta bene. È un mese primaverile, ne freddo ne caldo.
Qualche uccellino cinguetta e qualche esaurito al cellulare ci fa sapere che la compagna/fidanzata/moglie ha sbagliato a stirargli una camicia, quella buona comprata da poco che doveva indossare oggi per quella cosa importante.
Spero sempre di non diventare così.
Osservo la mia macchina, parcheggiata giù al palazzo, un po’ sporca a causa della pioggerella fine che è caduta ieri.
Tra poco dovrei pagare l’assicurazione, poi arriva il bollo e poi la revisione. Finirò tutti i miei risparmi.
In un istante mi angoscio. Non dovevo comprarla se poco dopo volevo trasferirmi, forse dovrei toglierla però poi non avrei un’auto in grado di scendere dalla mia famiglia.
Sbuffo. Quanti pensieri. Fortunatamente non pago l’affitto, ma quanto può andare avanti così la situazione?
Vorrei che Giorgio mi chiamasse per dirmi che sono stata assunta, dormirei meglio.
Finalmente anche io lavorerei stabilmente, a Roma, al centro.
Finalmente saranno tutti fieri di me che sono riuscita nell’impresa.
Finalmente una soddisfazione, già.
Ho bisogno di quel lavoro, per non vivere con l’angoscia di dover millesimare i soldi, per poter andar a mangiare una carbonara e pagare serenamente, senza farmi prendere dalle pare che li avrei potuti risparmiare per mettere benzina.
Basta…
Per un secondo ripenso a quella strana sensazione negativa che ho provato durante il colloquio.
Forse dovrei spiegare ancora che non mi sono sentita a mio agio e che ho paura, senza una ragione specifica. C’è qualcosa dentro di me che sta cercando di urlarmi di non fidarmi, di continuare a cercare, di non lasciarmi ingannare da quello che offre il contratto, ma viene soffocata dal pensiero che valgo poco senza un lavoro, senza soldi. Gira tutto intorno a questo.
“Devi lavorare e prendere la tua strada, se non inizi non saprai mai cosa fare della tua vita.”
Il problema era che io volevo maledettamente sapere qual era il mio posto nel mondo e l’ho cercato e cercato fino a quando mi sono fermata nella speranza che mi trovasse lui.
Ma quindi quella datrice di lavoro piena di sé e per nulla accomodante, in quella stanza bianca e con quel segretario nasuto faceva parte del progetto per il mio posto nel mondo?
Trascorsi dieci giorni in totale, inclusi sabato e domenica; in cuor mio speravo di non ricevere più alcuna chiamata. Nessuno mi aveva contattata, tutti dicevano di aspettare, perfino l’agenzia interinale sembrava in stand-by. Almeno mi sentivo meno sola sotto questo punto di vista.
Vagavamo in un limbo, in attesa. Ho vissuto con l’ansia di essere chiamata e l’ansia di deludere per l’ennesima volta tutti.
Poi la chiamata di Giorgio arriva – Quando potresti venire a fare una prova di dieci giorni?Retribuita.
Naturalmente ho risposto “anche domani.”
