Disumano
Tornammo a Roma devastate.
Mi sentivo in una gabbia, non trovavo una parola diversa per poter descrivere lo stato in cui mi trovavo, avrei voluto che gli ultimi mesi trascorsi fossero solo ed esclusivamente un incubo a forma di labirinto dal quale non riuscivo ad uscire, ci stavo correndo dentro da così tanto che sentivo di non aver più speranze; in quel dolore da cui ero circondata ci sarei annegata.
Non mi stava bene più nulla della mia vita e, al pensiero di aver lasciato mio padre così solo, per non essere licenziata da due ladri di vitalità e serenità, mi faceva odiare di più me stessa.
Possibile che contino più i soldi?
Non è questione di soldi, ne vale della mia libertà, io non voglio stare più qua, non voglio più assistere a discussioni che non mi appartengono, non voglio più condividere quel che resta delle mie giornate con ideali che non condivido; a parlare sempre delle stesse cazzate che non ci salveranno certo dai malanni della società, quindi scelgo di restare in silenzio perché non ho concetti da intavolare e continuo a chiudermi ulteriormente nell’abisso della mia solitudine.
Non è per i soldi, è solo perché con quelli posso avere il mio spazio e io mi sto sacrificando per questo.
Dopo aver raccontato ad S. e C. lo svolgimento di come Luna piano piano si fosse spenta, ero pronta ad affrontare tutta la giornata lavorativa o quasi.
All’arrivo di Grigio mi recai nella sua stanza per attendere che mi desse degli aggiornamenti su quanto fosse accaduto in quell’unica giornata d’assenza; l’atmosfera era cupa e a me non interessava minimamente di accendere neanche una lampadina, preferivo non si vedessero i miei occhi trasparenti di vetro.
Ormai i soci mi vedevano come una bandita coi capelli corti, disertrice di giornate saltate a lavoro.
A confermare il mio impegno a voler essere una brava dipendente, restavano soltanto le dr Martens nere che iniziavano a graffiarsi per la quantità di volte che le avevo indossate.
-Poi non ho mai sentito di una Luna che si è spenta a cui sono stati fatti i funerali il giorno dopo, solo nella tua galassia succedono queste cose. –
Coglione imbecille, il male non si augura e spero con tutto il mio cuore che tu non debba mai constatare che quanto ti ho detto sia vero.
Anzi, cosa vuoi che faccia per dimostrarti che sono stata ad un ca**o di funerale?
–Non so cosa dirle. – poi ebbi un’illuminazione che non era proprio partita dalla mia mente ma da una chiacchierata avuta con mia suocera.
-Onestamente mi dispiace non essere creduta ma se serve per togliere la taglia che pende sulla mia testa posso portarle il certificato di morte. – gli dissi tra i denti, trattenendo ancora le lacrime, serrando la mascella, abbracciando quella cartellina sterile che portavo con me ogni volta che entravo nella sua stanza.
La soddisfazione di vedermi crollare non te la darò mai, preferisco fare a botte con la mia mente.
Ci fu un momento di imbarazzante silenzio, forse non si aspettava che gli facessi una proposta del genere.
-Ma no, non esageriamo adesso. –
Beh, qua l’unico che sta esagerando sei tu e i tuoi complessi di merda, chissà che trauma devi aver avuto da bambino per non riuscire a trattare con decenza una persona che lavorando per te si fa in quattro.
Non risposi nulla più, scrivevo le svariate cose che avrei dovuto fare in quella giornata, in silenzio, senza guardarlo, ero delusa dell’umanità in quel momento, dal poco buon senso di una persona con tanta più esperienza di me; neanche di darmi le condoglianze era stato capace.
