Primo giorno di prova
Era la prima volta in tutta la mia vita che percorrevo quella strada. Il centro di Roma, ovvero dalla stazione Termini alle zone limitrofe, è abbandonato a sé stesso. Ogni tanto evito qualche avanzo di cibo e chiazze di liquido che bagna l’asfalto o i san pietrini, nella speranza che non sia pipì.
Giorgio mi ha chiamata per chiedermi se potessi affrontare una prova di giorni, retribuiti, tipo Ercole con le dieci fatiche.
Dalla telefonata a circa dieci minuti fa sono stata bombardata di consigli e preghiere.
Non ho perso tempo nel dare a tutti la fantastica notizia e nessuno ha perso tempo nel chiamarmi per dire la propria opinione.
“Vedrai che andrà tutto bene”
“È ottimo che ti abbiano chiamata per fare la prova”
“Lo sapevo che saresti piaciuta al colloquio”
“Tu vai tranquilla, ascolta e impara ciò che ti dicono” e via discorrendo.
Ho la testa e le orecchie così piene che sono indecisa se ascoltare o meno un po’ di musica?Quale sarebbe l’ideale, rilassante o caotica?
Lasciamo perdere, meglio stare attenta ai semafori, ai motorini, le bici e i monopattini che sfrecciano tra strade e marciapiedi senza distinzione.
Finalmente arrivata. Il civico è corretto. Il portone è alto e chiuso.
Rileggo il messaggio che mi aveva inviato Giorgio con tutte le indicazioni da seguire per non perdermi, ma soprattutto non arrivare in ritardo, e il nominativo a cui citofonare.
Premo il bottoncino argentato e moderno. Nessuno risponde ma aprono.
Salgo le tre rampe di scale, non preferisco prendere l’ascensore, spero che salendo due gradini alla volta prima o poi la cellulite sparisca.
Mi aspetta sull’uscio una figura esile di media altezza, donna. Mi squadra da testa a piedi.
Ho indosso una camicetta, un pantalone chiaro e le dr Martins. Questa volta con dei calzini di topolino. Ho passato un po’ di piastra per ammaccare i capelli ribelli e messo il mascara.
-Ciaooooooooo, piacere. Io mi chiamo S. tu devi essere Zeta, giusto? – mi tende la mano e sorride, senza mascherina.
Si, sono proprio io. Che bella ragazza solare.
-Posso toglierla? – le chiedo, indicando la mascherina bianca che ho indossato preventivamente.
Muovendo il capo suggerisce di si.
Fa gli onori di casa e mi porta in giro per l’azienda. È più grande di quel che immaginavo. A tratti avverto un odore legnoso, ma vecchio, misto ad un detersivo disinfettante. In giro ci sono delle colonnine su cui sono poggiati dispenser per l’Amuchina.
Le pareti sono bianche, ingiallite dal tempo. Per fortuna qui ci sono più quadri e gingilli appesi.
Il pavimento è un gres porcellanato effetto parquet.
Durante il tour mi sono sentita rincuorata nell’aver trovato una persona che sembra alla mano, tranquilla, pulita, solare.
Giorgio è stato poco chiaro al telefono sul mio ruolo effettivo.
Sarà lei a dirmelo?
È una mia collega?
Ho subito ben presto scoperto di no e ancora no.
Ha la laurea e quindi veste una mansione differente dalla mia, più in vista, meno pratica, meno faticosa.
Mi mostra la mia postazione, piccola e a tratti angusta. C’è una scrivania palesemente di truciolato, grigia, con sopra poggiato un vecchio computer a schermo piatto ma non troppo, circondata sulle due pareti da scaffali pieni di scartoffie e faldoni di vent’anni fa. C’è della polvere.
In un angolo noto un condizionatore portatile grande.
Qui puzza un po’ di chiuso, nonostante ci sia una bella porta finestra che si apre su un balconcino. Ci sono due sedie, forse lavorerò in compagnia?
-Questa è la “tua” stanza, in effetti c’è la possibilità che tu accolga i clienti, li fai accomodare in sala d’attesa ecc. Almeno prima del Covid era così. All’insaputa dei due soci puoi tranquillamente venire nella nostra sala a scambiare due parole-
Dovrei ringraziare per la disponibilità? Sarà un tranello? Me lo sta dicendo per mettermi alla prova?
-Tra una ventina di minuti chiameremo Emma, quella che lavorava qui prima di te, così farete affiancamento-
Sono leggermente perplessa. Mi ha infastidita questa frase; ma poi al telefono devo fare affiancamento? Inizio ad essere confusa.
È possibile che nessuno riesca a dirmi per cosa devo essere pagata mensilmente? La mia mansione quale sarebbe?
Stai serena Zeta, non farti prendere dalle ansie da prestazione.
Forse non sono più abituata ai meccanismi lavorativi, probabilmente devo solo aspettare, devo avere pazienza. Respira. Non sei sotto esame, cioè si ma qualunque cosa accada non è la fine del mondo.
Ma davvero non lo è?
Cosa succede se questo posto di lavoro non riesco a prenderlo? No ti prego, non rompere le palle e non farti venire ansie o pensieri. Pensa ad altro, parla!
-Com’è l’ambiente di lavoro? – chiedo ad S.
Resta per qualche istante in silenzio, schiudendo le labbra, strizzando appena gli occhi, cercando la risposta più adatta.
-Mah tutto sommato è ok, si lavora, l’azienda è conosciuta, quindi non ti annoi. I due soci a volte sono un po’ stronzi, ma alla fine quale datore di lavoro non lo è? –
Eppure nei miei ricordi, per quante cazziate io abbia preso nei lavori precedenti, a causa di errori ma mai gravi, non mi pareva di aver mai definito il mio capo STRONZO.
